Oggi il blog ospita la bellissima storia di Meda Orafi, gioiellieri e artigiani da generazioni. Ce la racconta l’erede di questa tradizione, Miriam Meda, giovane laureata in Architettura, sfidante della crisi, che ha preso le redini dell’attività di famiglia.

Da leggere tutta d’un fiato…

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1. Un po’ di storia: come nasce Meda Orafi

 Meda, orafi dal 1916. Quella dell’oreficeria è un’arte che si tramanda da tre generazioni nella famiglia Meda. Mio Nonno Dante, nato nel 1904 e secondo di 8 fratelli, a soli 12 anni va a bottega dai grandi maestri dell’oreficeria meneghina del ‘900.  Pittore, scultore, designer e orafo: un creativo a tutto tondo. All’età di 28 anni avvia un suo laboratorio in centro a Milano. Negli anni ’40, il nonno guida uno dei più grandi laboratori orafi di Milano in cui lavorano ben 12 artigiani. Mio padre Mario, figlio d’arte di nonno Mario, ricorda ancora bene quando da bambino andava a trovare il papà nel grande laboratorio che occupava interamente il piano terra al 21 di via Sant’Andrea. Purtroppo Dante muore prematuramente e così mio papà Mario, a soli 15 anni, si avvia a diventare orafo frequentando la Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco e lavorando come apprendista presso l’officina di Ernesto Ba, in Galleria Passerella vicino a Piazza San Babila. Qui disegna e realizza gioielli per nomi illustri: uno su tutti Cartier. Nel 1965 decide di aprire il proprio laboratorio dove lavoriamo insieme ancora oggi: un luogo dal sapore antico che, in mezzo secolo di lavoro quotidiano, ha visto nascere disegni, gioielli e rapporti preziosi. Io sono la prima e, per ora, unica donna artigiana della famiglia Meda.

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2. Quando hai deciso di portare avanti il laboratorio di famiglia, dove nasce la passione per questa professione?

Per ovvie ragioni storiche il mio approccio al mestiere dell’orafo è molto diverso da quello che ebbero nonno Dante e papà Mario. Infatti loro si trovarono, ancora bambini e senza quasi accorgersene, già completamente immersi in un’attività che sarebbe divenuta la loro professione, mentre la mia è stata una vera e propria scelta matura. Ho intrapreso un percorso naturalmente più in linea con quello della mia generazione: prima il liceo scientifico e poi la scelta di iscriversi alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Solo poco dopo la laurea, ho scelto definitivamente di accettare la sfida di essere un orafo artigiano. Ho respirato per oltre 25 anni l’aria del laboratorio di mio papà e in casanon è mai mancato il gusto per il bello in tutte le diverse sfumature possibili: arte, architettura, design, fotografia e cinema. (non potrebbe essere altrimenti con una mamma curatrice di mostre fotografiche e una sorella storica dell’arte). Sotto la guida esperta di papà,  sto imparando ad interpretare oggi il mestiere dell’artigiano conciliando  l’antica tradizione orafa e il gusto per il design del nostro tempo. Un artigianato antico in un mondo che cambia di continuo. Una sfida difficile. Ma forse non più di quelle che affrontava mio nonno agli inizi del ‘900.

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3. Come avviene il processo di ideazione di una fede o un gioiello?

Quello avviato da mio papà, da cui ho la fortuna di imparare ogni giorno di più, è un laboratorio artigianale vero e proprio: come ce ne sono ancora pochi in giro. Per molti clienti, nuovi o  di vecchia data, passare in laboratorio è un’esperienza da vivere prima ancora che una dei tanti impegni della giornata. L’ideazione di un gioiello avviene anch’essa tramite un’esperienza, tutto è fonte di ispirazione: dalle forme della natura – fiori, piante, rocce, – allo studio della storia del gioiello fino alle forme dell’arte dell’architettura e della scultura contemporanea.  Anche il patrimonio di gioielli e disegni del nonno e dei suoi maestri dell’800 sono spesso fonte di ispirazione. Gli stessi materiali  tecniche e attrezzature spesso suggeriscono una data forma: ci lasciamo ispirare dalle infinite varietà di punte lime e frese combinando insieme diverse lavorazioni. Le tecniche spaziano dalle possibilità offerte dalla lavorazione della cera fino quelle proprie della progettazione 3D. Se l’oggetto è in relazione ad un evento simbolico, quest’ultimo diventa, come nel caso delle fedi, spunto per la creazione della forma come un intreccio di due metalli diversi o due forme che si uniscono. Spesso inoltre il processo di ideazione avviene insieme al cliente che esprime i suoi desideri e gusti. Alcuni ci portano una foto, un disegno, un simbolo, un’ispirazione. E su questa condivisione si costruisce un disegno sul quale verrà realizzato il gioiello tenendo conto dei molteplici  vincoli e accortezze tecnico-stilistiche legate ai materiali, alle forme, alle procedure di realizzazione, alle tempistiche e, non ultimo, ai desiderata di spesa del cliente.

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4. Quali sono le tecniche, i materiali, la struttura utilizzati per le vostre creazioni?

Utilizziamo le tecniche manifatturiere del secolo scorso (le trafile e il laminatoio sono ancora quelli del nonno) unite ai più innovativi strumenti di modellazione 3, conoscenze proprie del mondo dell’architettura e del design sono divenuti in questi anni un ulteriore arricchimento per l’attività del laboratorio e si sono fusi perfettamente con l’antico sapere dell’arte orafa. La nostra attività è incentrata prevalentemente sull’oro in tutte le sue leghe e colori e l’argento, ma non mancano anche collezioni in rame e ottone. Il mondo delle pietre preziose ci affascina molto e ci è affine, realizziamo infatti numerosi pezzi di alta gioielleria e anelli di fidanzamento, ma ci piace anche usare, riscoprire e combinare pietre semipreziose, opali, pietre dure  e perle.  Una fede o un gioiello – d’argento o d’oro, con o senza pietre – può avere una concezione molto diversa a seconda dei casi: dai grandi classici, all’ideazione di un nuovo concept, condiviso tra orafo e cliente, fino alle lavorazioni più particolari che trasformano una semplice fede, modello classico, in un oggetto unico proprio perché concepito e realizzato solo per chi lo indosserà.

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5. Idee e progetti futuri
In futuro desidero che il mio laboratorio continui ad essere quel luogo di incontro e di crescita professionale e umana che è stato fino ad oggi con mio padre e che era il laboratorio di mio nonno ancor prima.  Voglio continuare a seguire in prima persona l’intero processo di creazione dei gioielli: dal disegno alla realizzazione. E per fare questo è fondamentale conoscere la tecnica e le pratiche produttive – dalle più vecchie alle più moderne – e non solo sviluppare capacità di design progettuale. Questo ritengo sia uno dei più grandi valori del nostro laboratorio.Il nostro orizzonte infatti è quello di contribuire  con il lavoro quotidiano al recupero, alla salvaguardia e alla promozione del gioiello nel suo valore originario. L’oreficeria come particolare forma d’arte e non solo come produzione standardizzata, globalizzata e puramente commerciale.

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Andrea Banziin un articolo apparso su “Interni” nel 2005 – presenta una riflessione del rapporto tra oreficeria e design che va al cuore della questione. “Non mi domanderò se il design può essere utile al gioiello, ma piuttosto dirò che  farebbe molto bene al design confrontarsi con questa realtà. Il vero fondamento del gioiello infatti non consiste nel solo valore materiale ma in un più complesso e misterioso teorema che si fonda sulla valorizzazione “spirituale” di chi lo indossa. Valori interiori quindi, non esterni e puramente decorativi: energie immateriali e non solo materiali. I gioielli infatti (…) offrono alla donna che li indossa un’oggettiva esaltazione non solo della bellezza, ma anche della nobiltà, della fertilità e del carisma. Fin dall’antichità più remota i gioielli hanno svolto la loro funzione in questa valorizzazione della “sacralità della persona”, dei re, come delle donne o dell’immagine degli dei. I più semplici orecchini dell’antica Roma o i più piccoli anelli raccolti sotto le ceneri di Pompei, ci appaiono ancora perfetti e intatti.  Appartengono alla cultura antropologica prima che orafa: mentre sono esistite società senza città e senza architettura, non sono mai esistite società senza gioielli perché essi sono il segno evidente di un’elaborazione “magica” della persona umana e il simbolo della ricerca di un segreto ordine nelle leggi del cosmo. Questo tipo di teoremi misterici è sempre stato ignoto alle capacità di elaborazione del design moderno. Il design – che oggi occupa tutto l’universo del costruito, tutti i settori produttivi, dalla grande alla piccola serie, dal fatto a mano al pezzo unico – deve quindi affrontare questioni che fino ad ora sono sembrate estranee al suo DNA. Questioni che non appartengono alla modernità “visibile” ma sicuramente riguardano la nostra civiltà che è fatta anche di valori “immateriali”. Per questo è il design che ha bisogno di cambiare, e quindi confrontarsi anche con il mondo dei gioielli, se vuole diventare una cultura civile.”

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